lunedì 12 aprile 2010

It's only talk ( Ryuichi Hiroki , 2005 )

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Depressione e tenerezza

E' un piccolo gioiello questo lavoro del giapponese Ryuichi Hiroki, tratteggiato con tenerezza e durezza, che affronta in modo diretto, a volte quasi cattivo, la storia di una donna in stato di profonda depressione esistenziale, seguita alla morte dei genitori.
Yuko ha ormai passato da un pezzo i trenta anni, gli ultimi dei quali passati fra continui ricoveri in ospedali psichiatrici per curare la sua depressione; sin dai primi momenti del film ci appare con lo sguardo tipico di chi ha la vita tormentata e vacua , alla ricerca di improbabili rapporti sociali veicolati dalla rete.
La vediamo quindi interagire con un uomo che si autodefinisce "pervertito" e cha la coinvolge in giochini sessuali a metà tra l'esibizionismo ed il feticismo, quindi con un ex compagno di università che soffre di disfunzione erettile e che quindi rifiuta le sue offerte, è poi la volta di un giovanotto delinquente affetto da disturbi della personalità con cui si abbandona ad infantili giochi nel parco vicino casa ed infine con un cugino, in crisi con la moglie e con l'amante che si piazza in casa sua. 
Yuko sembra trovarsi a suo agio in questo tourbillon che le gira intorno, ma nella realtà , il suo è solo un patetico tentativo di essere accettata da persone che da parte loro le caricano addosso il loro bagaglio di frustrazioni e problemi; lei da parte sua pur di ricevere compassione e credibilità dagli altri stravolge gli eventi che portarono alla morte i genitori e finge un benessere che invece non le appartiene.
Quando capisce che ognuno dei pianeti che le ruota attorno trova il suo posto e la sua dimensione e che a lei non rimane che un presente amaro contrapposto ad una serie di ricordi belli e teneri ormai passati, non può fare altro che abbandonarsi al  pianto silenzioso e liberatorio, immersa nella vasca del bagno pubblico.
Il personaggio di Yuko , stupendamente interpretato da Shinobu Terajima, è uno di quelli che rimangono impressi indelebilmente nella memoria, vuoi per lo sguardo, per gli occhi e i silenzi che la distinguono, vuoi per la carica di solidarietà e simpatia che infonde: una figura che domina tutta la storia e che impersonifica in maniera cruda e tenera gli effetti devastanti della depressione.
Quello che colpisce è la solitudine di Yuko, incapace , alla fine, di trovare anche un minimo di dialogo e comprensione con gli altri protagonisti, escluso forse solo il cugino, che però alla fine sceglierà il ritorno dalla moglie per non dovere ammettere di aver buttato troppi anni della sua vita: una visone nerissima , quasi perfida , cui la donna non saprà contrapporre nulla se non la sua infinita debolezza.
Il film si svolge su ritmi non certo vertiginosi, ma non cede mai di un millimetro, mantenendo sempre una tensione emotiva notevole, racchiudendosi spesso in un minimalismo che lungi dall'essere fastidioso o eccessivo è invece uno dei puntelli della pellicola.

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