venerdì 17 dicembre 2010

Outrage ( Takeshi Kitano , 2010 )

Giudizio: 6/10
Kitano sembra stanco


Dopo aver percorso per 10 anni svariati sentieri cinematografici approdati negli utlimi lavori ad una riflessività estrema come forma di meditazione sull'arte, Takeshi Kitano torna allo yakuza movie senza però sgombrare assolutamente il campo sui numerosi dubbi che riguardano la sua vena creativa.
Outrage è un film difficile da valutare in modo esatto, probabilmente necessita una lievitazione interiore, ma sicuramente non si tratta di opera a livello di Sonatine e tanto meno di Hana-bi, rimanendone lontano anni luce, essenzialmente per la completa mancanza di quello sguardo poetico e quasi trasognato che emergeva dai due capolavori citati; e qui si pone il primo scoglio per una oggettiva valutazione del lavoro: è una scelta precipua quella di Kitano di mostrare un mondo (quello degli yakuza) assolutamente privo di qualsivoglia cosa che non sia la violenza e l'arrivismo? Oppure è lo sguardo del regista che non riesce più ad offrire quelle immagini e quei momenti che frammisti alla violenza gangsteristica facevano comunque dei suoi film degli autentici gioielli sprizzanti poesia?

L'impressione a caldo che si ricava è quella di un pessimismo debordante che incombe su tutto il film, un occhio che non riesce più a estrapolare null'altro che efferatezze, e ce ne sono molte, alcune al limite del gratuito: è un atteggiamento questo che sarebbe coerente con le ultime opere di Kitano in cui i lati bui sembrano essere predominanti, anche quando i film sono tutt'altro che carichi di dramma (Achille e la tartaruga ad esempio).
Tutta la storia è incastonata in una faida, pilotata dal superboss, tra due famiglie che da alleate scomode per il padrino diventano acerrime nemiche manovrate dal burattinaio capo a suo piacimento. Otomo è il luogotenente del capo mafioso Ikemoto, colui che si occupa dei lavori sporchi, che sa sporcarsi le mani senza scrupoli, forgiato dalla lunga militanza; ben presto la faida prenderà una strada in fondo alla quale c'è l'inevitabile baratro e Otomo capisce la trappola quando ormai è troppo tardi.
Al primo impatto la riflessione che emerge è quella sulla totale perdita di ogni canone di onore e di lealtà , una società malavitosa forse specchio di una comunità più grande su scala planetaria.
Nel contempo però , e sulla base delle premesse fatte, va detto che il film vive di lunghi momenti che rasentano la noia mortale, nonostante qualche sussulto derivato da lampi di regia preziosa; il microcosmo degli yakuza intenti nei loro affari dopo un po' stanca  e il film si adagia su situazioni stantie; lo stesso Kitano attore appare quasi amimico, immobile, privo di slancio, un alter ego del Kitano regista di cui si nota soprattutto una certa stanchezza.
Può bastare un pessimismo cosmico nerissimo raccontato senza sconti a far sì che un film possa definirsi velido e degno di essere visto? E soprattutto cosa dobbiamo pensare di un grande regista che sembra avere diretto un'opera quasi a suo uso e consumo, intrisa dei suoi umori?  
Il giudizio definitivo forse conviene lasciarlo in sospeso, limitandoci per ora ad un giudizio estemporaneo, istintivo, che strappa appena la sufficienza; un sei sulla fiducia, come si diceva a scuola.

2 commenti:

  1. La tua recensione mi sembra confermi il giudizio che sin dalla sua presentazione a Cannes emerse sul film, è un vero peccato che un così grande regista abbia un po' smarrito la vena artistica.

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  2. Vero, l'accoglienza ricevuta è stata freddina a dire poco e giustificata dal fatto che il film sembra in qualche modo deludere: Al di là del giudizio che si può dare su questo film, è indubbio che la vena narrativa di Kitano è in lieve ma costante discesa.

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