giovedì 10 novembre 2016

Knight of Cups ( Terrence Malick , 2015 )




Knight of Cups (2015) on IMDb
Giudizio: 6/10

Presentato alla Berlinale del 2015, arriva anche in Italia la penultima opera di Terrence Malick, Knight of Cups, quarto film negli ultimi sei anni del regista americano che  sembra aver trovato un ritmo più sostenuto nella scrittura dei suoi lavori, creando una sottile scia nella quale The Tree of Life, To the Wonder e appunto Knight of Cups sembrano collocarsi su una medesima ricerca di linguaggio e di tematiche.
Introdotto da una parabola in stile cristiano e suddiviso in capitoli ognuno dei quali prende il nome da una carta dei tarocchi, Knight of Cups è la storia di uno sceneggiatore di successo di Hollywood in piena crisi personale: personaggio totalmente agli antipodi del regista Rick vive tra feste, aperitivi in piscina, vacuità, belle donne e spiagge sull’Oceano, lusso ostentato che non lo salvano però da una profonda crisi esistenziale nella quale si dibatte come fa il pesce nell’acqua bassa; ogni azione, ogni momento trascorso sembrano approfondire sempre più il suo disagio e la sua deriva.


La figura di Rick viene raccontata attraverso le donne della sua vita, più o meno importanti, e attraverso il rapporto difficile col fratello e col padre: in ognuno di questi segmenti narrativi che si rincorrono l’uomo sembra sprofondare inesorabilmente nell’abisso di una vita vuota e inutile; la macchina da presa lo rincorre  in quel suo vagare su stesso , sballottato da una parte all’altra di Los Angeles o perso nel kitsch di Las Vegas, il continuo movimento spesso circolare intorno al protagonista sta lì a raffigurare un gorgo centripeto dal quale uscire è impossibile.
La riflessione malickiana questa volta però, pur essendo intimamente legata ai massimi sistemi umani presenti nei due precedenti lavori, sembra un po’ meno intrisa di quel cristianesimo militante che alberga nell’intimo del regista, non a caso i richiami più religioso-filosofici sono al buddhismo; Knight of Cups è sostanzialmente una riflessione sulla deriva che la vita può prendere quando sfugge al nostro controllo e sul tormento che ne consegue; una ciclicità, questa sì ben rappresentata da Malick, nella quale tutto si ritrova in un punto di partenza immutabile.

Proprio la ciclicità del racconto permette di comprendere come il tormento del protagonista sia qualcosa che trascenda, che supera le capacità umane: il muoversi affannoso, il dibattersi tra amori nuovi e vecchi, tra ricordi e presente, altro non sono che segni di immobilità umana che inevitabilmente porta sempre più lontano da un approdo che conduca ad una riappacificazione con se stessi.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it

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