giovedì 30 settembre 2010

Secret sunshine ( Lee Chang-dong , 2007 )

Giudizio: 7/10
L'uomo contro Dio


Ancora un dramma esistenziale dall'autore di Oasis e Peppermint Candy, che se da un lato conferma la grande bravura del regista e la sua capacità di dipingere personaggi che catturano lo schermo, dall'altra mostra un passo indietro rispetto al suo capolavoro.
Stavolta  è il dolore che non si può rimuovere il fulcro del racconto,quello in cui piomba Lee Shin-ae dopo la morte del marito e il conseguente trasferimento nella sua città natale (occhio al nome di questa che in mandarino significa "luce segreta del sole"), quasi a voler dare corpo al sogno del defunto che desiderava tornare a vivere lì.
La sfortuna si accanisce ancora sulla giovane donna , in una maniera tremenda; unica via per uscire dalla disperazione muta e la fede, che abbraccia in un impeto di spiritualità e , molto meno poeticamente, di solitudine e angoscia. Al suo fianco , nella sua ingenua e a tratti patetica attrazione per lei, Kim cercherà di rendersi utile, pur di rimanerle vicino.
Quando Shin-ae capisce che l'avere abbracciato la fede non la libera dal dolore (che voleva passare attraverso un perdono già concesso da chi governa il mondo) scatena la sua personale guerra, il piccolo Davide contro la divinità Golia, contro quel Dio che si è sostituita a lei e che tutto guarda. Sono forse i momenti più belli del film quelli dell'improbo confronto tra uomo e Dio che porteranno la donna sull'orlo della follia.
Finale enigmatico, che richiede molta interpretazione e che lascia aperte numerose vie.
Anche stavolta, avvalendosi di due monumentali interpreti, Jeon Do-yeon nel ruolo di Shin-ae e Song Kang-ho in quello di Kim, Lee Chang-dong costruisce due figure umane bellissime, vive, pulsanti che dominano il film totalmente; quello che invece lascia un po' di dubbi è la costruzione dell'impianto narrativo, troppo sventurata apparendo la figura della donna, collezionista di drammi in rapida successione , così come poco convincente è la sua conversione alla chiesa presbiteriana.
L'aspetto religioso domina tutta la parte centrale del film, soprattutto nell'approccio critico che costruisce il regista: il fanatismo e gli aspetti pittoreschi sono ben calcati, seppur con delicatezza evitando qualsiasi accenno rozzo, e l'idea che  stavolta Lee abbia voluto criticare, neppure troppo velatamente, un sistema religioso che somiglia più al plagio che alla ricerca spirituale, non è troppo lontana dalla verità; d'altronde il regista anche nelle opere precedenti non ha mancato di scavare in taluni aspetti sociali e politici dela suo paese (di cui è stato ministro della cultura), pur lasciando sempre in primo piano quella che è la storia personale dei protagonisti.
La morale del film appare in trasparenza, piuttosto pessimista: non esiste modo di concedersi pace dopo una serie di dolori infiniti: non aiuta la religione, ancor meno il rifuto della vita, probabilmente l'unica cosa che rimane è vivere la vita nel suo grigiore e nell'inevitabile angoscia.
Il film comunque rimane di buon livello, ottimamente diretto dal punto di vista tecnico, peccato solo che non lasci indelebile il segno come è stato per Peppermint candy e una certa prolissità (due ore e mezzo) che fa venire il sospetto che Lee abbia un po' troppo vagato senza riuscire a cogliere il bersaglio.

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