mercoledì 19 novembre 2014

Steel Cold Winter ( Choi Jin-sung , 2013 )

Giudizio: 7/10

In un gelido inverno tra le montagne che circondano uno sperduto villaggio perennemente ricoperto di neve e ghiaccio, si incontrano e si consumano le esistenze di due giovani liceali alla deriva.
Lui viene da Seoul dove il suicidio di un compagno di scuola alimentato da pettegolezzi lo ha spinto a sua volta sull'orlo del baratro, lei è una ragazza taciturna e dall'aspetto triste e misterioso che ama pattinare sul lago ghiacciato; nel loro incontro sembra già esser scritto il destino.
La ragazza vive col padre ritardato e deve sopportare le maldicenze dei paesani che vedono nel rapporto padre-figlia un chiaro incesto.
Tra i due la forza di attrazione e quella di spontanea ripulsione sembrano in costante contrasto fino a quando il giovane, reso dubbioso inizialmente dalle voci che circolano, capisce che lei è una sorta di immagine di se stesso riflessa: disperata, sull'orlo dell'abisso, alla ricerca di una esistenza che torni ad essere colorata e non oppressa dal bianco del ghiaccio invernale.

Il muto soccorso che sfocia in amore porta i due a trasformarsi ben presto in una poco credibile coppia di diabolici amanti, impossibilitati a ritrovare una esistenza e una vita normale, quasi fossero indelebilmente marchiati dalla disperazione ; tutto ciò non può non trovare un epilogo su quello specchio ghiacciato dove tutto era iniziato, proprio mentre l'inverno sembra voler allentare la sua morsa: neppure la fuga e la redenzione è concessa.
Film con tematiche simili ne abbiamo visti molti di recente e taluni sembrano volere rivangare antichi racconti dove incesto e violenza, sopraffazione e squallore regnano sovrani (basti pensare al primo Kim Ki-duk ad esempio), così come il tema delle comunità montane e provinciali contrapposte a quelle urbane con il loro carico di astio e di imbarbarimento cui porta l'isolamento e la creazione di rapporti insani riesce sempre a fare da sfondo efficace per un racconto con tinte morbose, ma Steel Cold Winter ha il pregio di essere un film essenziale che persegue una estetica del minimalismo della disperazione e dell'abbandono fin quasi ad annullarsi in una dilatazione estrema, quasi eccessiva, della narrazione ed in cui un ruolo fondamentale viene svolto dalla ambientazione rarefatta e fredda.
I due giovani protagonisti assurgono ad eroi rivoluzionari che combattono la sopraffazione indotta da rapporti personali incancreniti dove il debole è sempre annientato ed umiliato fino alla decisione di intraprendere la loro via di giustizia e vendetta  sia esse indotta a colpi di falcetto o di lama di pattino.
Tutto ciò emerge bene dal film: atmosfere e toni sono di quelli che fanno sentire ancora più pungente il freddo della solitudine che deve affrontare chi vuole fuggire dal conformismo becero e dall'ignavia: Steel Cold Winter imprigiona in una gabbia di inquietudine che deriva dall'elegia degli sconfitti.
Sebbene qualche scelta di regia lasci più di un dubbio come ad esempio la metafora dei maiali sepolti vivi per assecondare un imbroglio alimentare dei paesani o come l'eccessiva dilatazione dei tempi e degli spazi, il film ha il suo valore e riesce in più di una occasione a far riemergere quella poesia dei disperati che certo cinema coreano ha saputo illustrare con grande forza e bellezza.

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