sabato 20 gennaio 2018

A Ghost Story ( David Lowery , 2017 )




A Ghost Story (2017) on IMDb
Giudizio: 9/10

Non sembri una introduzione didascalica e assertoria, ma guardare A Ghost Story pensando di trovarsi di fronte ad un horror rischia di metterci totalmente fuori strada con la ovvia conseguente delusione che un appassionato del genere riscontrerà.
Il lavoro di David Lowery regista trentasettenne di Milwaukee con una lunga scia di cortometraggi  ed un paio di film alle spalle, osannatissimo da critica e pubblico a fronte del budget da filmato di famiglia, si muove semmai tra le atmosfere da ghost story thailandese in stile Weerasethakul Apichatpong e l’esistenzialismo di matrice cosmica di Terrence Malick.
Il fantasma c’è, anzi più di uno, e viene presentato dal regista nella sua iconografia più classica e infantile da fumetto: lungo lenzuolo bianco e buchi per gli occhi che gli conferiscono un aspetto melanconico , ma la sua presenza coagula in sé tutta una serie di tematiche che il film non sviscera in maniera didattica , bensì insinuante costringendo lo spettatore ad osservare ogni piccolo gesto e inquadratura per carpirne il significato.


I protagonisti sono C ed M una coppia che vive in maniera serena, seppur tra qualche dubbio sul futuro, in una casa rurale ai margini della città; lui, C , è un musicista e lei non sappiamo che lavoro svolga; tra incertezze varie stanno meditando di abbandonare la casa alla quale soprattutto lui si sente molto legato.
In un incidente d’auto proprio fuori casa, filmato in maniera lenta e magistrale dal regista, C muore e subito dopo la visita di M all’obitorio, in un lungo, uno dei tanti, piano sequenza lo vediamo alzarsi coperto da un lungo lenzuolo ed avviarsi all’uscita, rifiutando quasi sdegnato una porta di luce che gli si apre davanti sul muro della morgue.
Inizia la vita da fantasma di C, che come tutti gli spiriti vive della sua immaterialità, che non gli impedisce però di essere attratto verso la casa in un legame ancestrale che ne delimita lo spazio.
Qui assisterà al dolore silenzioso e a momenti isterico di M ( la scena di lei che mangia furiosamente una torta salata seduta in terra è tra le più belle di tutto il film), alla sua incapacità di accettare la perdita, poi al tentativo della donna di rifarsi una vita con un altro uomo ed infine alla sua decisione di lasciare la casa non senza aver nascosto in una fessura del muro un foglietto contenente un misterioso messaggio.
Lo spettro però che si muove fuori dal tempo e dalla materia vive le sue emozioni, ingabbiato in uno spirito che gli nega anche la minima tangibilità, mostra anche una certa ira verso i nuovi abitanti della casa che si susseguono in uno scorrere del tempo che è totalmente fuori dai canoni con cui lo viviamo noi esseri terreni.
La circolarità del racconto ci mostra il percorso di C inchiodato in un lasso di tempo presumibile di anni che sullo schermo dura pochi minuti, in un futuro dove la casa viene ridotta in brandelli per lasciare spazio a costruzioni avveniristiche: i due fantasmi , simulacri di un passato che non torna,che si guardano e comunicano da una casa all’altra fino al momento che esse vengono demolite, è una delle immagini che induce maggiore carico emotivo, perché A Ghost Story è non solo il racconto di una perdita e di una elaborazione di essa , ma è soprattutto una riflessione sullo spirito, sulla memoria, sulla sofferenza dell’anima , sulla umanità stessa impegnata nel tentativo patetico di lasciare traccia di se stessa ben sapendo che basterà un qualsiasi evento epocale a cancellare tutto ( seppur un po’ sopra le righe il concetto esposto in un soliloquio di uno dei tanti ospiti succedutisi nella casa al quale lo spettro di C assiste è un po’ il manifesto malickiano del film).
E poi c’è il salto nel passato, di secoli, dove con meccanismo a tenaglia C vedrà se stesso diventare fantasma chiudendo il cerchio del racconto.
Il foglietto nascosto lasciato da M verrà fuori e sarà forse il modo per C di pacificarsi con se stesso e trasformarsi in spirito assoluto.
La scelta tecnica di Lowery di affidarsi ad un formato 4:3 con gli angoli arrotondati e la struttura a piano sequenze spesso lunghissimi che stimolano chi guarda a concentrarsi sull’immagine e sui piccoli gesti, oltre alla presenza sempre defilata, quasi marginale del fantasma di C, concorrono in maniera splendida alla confezione di un lavoro che ha nella sua estetica essenziale, a tratti minimalista la forza maggiore; su questo si cementano le tematiche della storia che sono quelle del dolore per la separazione  e del dolore senza sofferenza di chi ormai solo essenza etera, legandosi in maniera violenta allo spazio che fu quello della sua vita terrena, lancia il suo grido di disperazione affinché venga ricordato, lasci una traccia in una vita che però non può cristallizzarsi ma che anzi si proietta sempre avanti facendo nascere e alimentare l’oblio.
Diciamolo francamente, in A Ghost Story , la nostra empatia va soprattutto verso quel lenzuolo bianco dai grandi buchi neri come occhi giganteschi scuri che sembra la vera essenza della domanda cosmica e terrifica che da sempre il mondo si pone, generando su di essa miti, religioni, idolatrie e superstizioni: “ Cosa sarà di noi dopo la morte? Cosa resterà del nostro passaggio infinitesimale se paragonato alla storia del mondo?”
Vuoi per la sapienza alla regia di Lowery, vuoi per le tematiche affrontate con tale delicatezza e al tempo stesso prorompenti, A Ghost Story è lavoro bellissimo, che si nutre di un gusto dell’estetica non sterile o fine a se stesso e che lascia una traccia profonda, basta sapersi sentire fantasma per un ora e mezza.

Le prove di Rooney Mara e Casey Affleck, senza dubbio due attori in sublime stato di grazia prolungato, non fanno che arricchire e dare ulteriore spessore ad un film splendido e intenso, di quelli che segnano una annata cinematografica e di cui, purtroppo, almeno per ora non è prevista alcuna distribuzione nelle nostre sale.

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